L’azione dal basso ferma l’uomo Del Monte. Pesticidi, assenza di acqua potabile, sfruttamento: l’ananas e l’etica globale

Pesticidi, assenza di acqua potabile, sfruttamento: ecco come Del Monte produce gli ananas che poi arrivano sulle nostre tavole. Ma dal basso è partita una campagna “contro” che ha dato i suoi risultati, ecco la storia. 

La preparazione dell’insalata cinese di pollo con ananas è delle più semplici. Dopo aver scolato un ananas dal suo barattolo, e conservato un paio di cucchiai di succo, lo si taglia a pezzetti e si fa a striscioline qualche trancio di pollo già lessato, mescolando il tutto insieme a tre cucchiai di salsa di soia e qualche pizzico di zenzero, sale e pepe. Nel servirlo a tavola avremo l’accortezza di preparare una composizione con delle foglie di lattuga arricchite con della cipolla e qualche foglia di prezzemolo. L’insalata va condita con olio, succo d’ananas, succo di soia, aceto, miele e, perché no, della mostarda. In un quarto d’ora il piatto è pronto.

È quanto ci suggerisce Del Monte dal suo ricco sito Internet dove scopriamo anche che l’ananas a nostra disposizione prospera di vitamina C, sodio, ferro ed è completamente privo di colesterolo; un buon alimento per non appesantire ulteriormente i nostri bolsi corpi dalla digestione impigrita da una vita troppo sedentaria.

Però… c’è un però, ed è rappresentato dalle accuse della Campagna di Boicottaggio “Diciamo No all’Uomo Del Monte” (lanciata nel novembre scorso dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo e subito fatta propria e diffusa dalla neonata Rete di Lilliput), che rivendica i diritti – negati – dei lavoratori delle piantagioni. Nelle cartoline che illustrano i motivi del boicottaggio, inviate a decine di migliaia sia a Del Monte Royal che alle società gestrici della grande distribuzione in Italia, i consumatori chiedono il pagamento di un salario dignitoso per gli operai delle piantagioni di ananas, l’abbandono di pesticidi pericolosi ed il rispetto dei diritti dei lavoratori. A quanto pare negli stabilimenti kenioti non esiste nessuna tutela per gli operai, sottopagati e costretti a condizioni estreme per portare a casa lo stretto necessario per la sopravvivenza.

Un’inchiesta partita dal basso

Le accuse dei promotori della campagna sono gravissime. Ne parliamo con Stephen Ouma di Korogocho, baraccopoli alla periferia di Nairobi, che ha deciso di capire meglio cosa succede nella piantagione di Thika, 13.500 acri a non più di 50 Km dalla capitale, in uso per 99 anni alla Del Monte Royal. Ouma vi ha lavorato per un breve periodo e la sua inchiesta ha dato vita alla Campagna di Boicottaggio e ci apre gli occhi su ciò che succede prima che gli ananas arrivino sulle nostre tavole.

“La Del Monte Royal, controllata dall’italiana Cirio [il cui azionista di riferimento è Sergio Cragnotti, patron della Lazio Calcio n.d.r.], produce 300.000 tonnellate di ananas l’anno. Per la coltivazione, la raccolta e lo stoccaggio impiega nella piantagione di Thika circa 6.000 lavoratori, di cui circa il 60% assunti col sistema del caporalato. Questo anche per evitare che si organizzi una qualsiasi forma di sindacato. La manovalanza viene dalle regioni più depresse del paese; per un salario di 2 dollari al giorno lavora in condizioni di puro sfruttamento e a contatto di velenosi pesticidi. Negli ultimi 2 anni sono morte 10 persone per cause imputabili direttamente alle precarie condizioni di lavoro”. Il buon pollo alla cinese è ormai un ricordo indigesto, ma Ouma incalza. “Nel 1997 uno sciopero che aveva visto l’adesione di circa 1.500 operai è stato immediatamente risolto sostituendoli con altrettanti reclutati in giornata in una zona vicina. Del Monte sceglie per lavorare persone disperate, con un basso tasso di istruzione, pronte a tutto. Nella “scala sociale” all’interno delle piantagioni ultime arrivano le donne, costrette ai lavori più faticosi e umilianti.”

Ecco spiegati, dunque, i motivi della Campagna di Boicottaggio, ecco perché migliaia di persone hanno mostrato la loro indignazione nei confronti di Del Monte. La prospettiva di una vita migliore e dignitosa per gli operai di Thika passa dalle nostre mani, le stesse che si allungano sugli scaffali dei supermercati per acquistare i prodotti Del Monte. Chiediamo a Stephen Ouma quali sono le richieste della neonata Commissione per i Diritti Umani.

La campagna di boicottaggio

“Chiediamo un forte impegno su cinque aspetti fondamentali. Del Monte deve assicurare che gli infortuni sul lavoro, comprese le morti, siano risarciti. Un grosso impegno deve essere rivolto affinché le condizioni di vita all’interno dei sette villaggi della piantagione migliorino: non è raro, ad esempio, trovare un solo bagno a disposizione di venti famiglie. Altri due punti riguardano l’aumento del salario per gli stagionali e l’istituzione di corsi di formazione sugli effetti tossici dei pesticidi, usati in gran quantità e senza nessuna protezione per gli operai, inconsapevoli dei rischi che corrono. La Campagna di Boicottaggio risulta essere uno strumento molto potente per arrivare a questi obiettivi. Consente agli operai di poter esprimere il loro dissenso sotto la tutela dell’opinione pubblica internazionale. Da quando la Del Monte è finita sotto i riflettori si è vista costretta a migliorare alcune situazioni deplorevoli, inaccettabili, per qualsiasi lavoratore. Ma la strada da percorre è ancora tanta…”

La certificazione SA8000 contro gli abusi sui lavoratori

In questi mesi di lotta contro lo strapotere della multinazionale molte delle cartoline spedite sono arrivate direttamente ai vertici della grande distribuzione del nostro paese. Esselunga, Coop Italia, Panorama e altre società si sono trovate a confrontarsi con i loro clienti su questioni di principio inequivocabili: fra tutte solo Coop ha accettato di discutere la questione. La Coop è fra l’altro una delle sole 32 società al mondo attestate con lo standard SA8000, certificazione che permette alle aziende di essere riconosciute come eticamente e socialmente responsabili.

Forse anche la diversa struttura societaria (la Coop sei tu…), oltre alla pressione dei consumatori, ha permesso ai dirigenti della cooperativa di iniziare una trattativa con Del Monte per il rispetto dei diritti dei lavoratori. La certificazione SA8000 permette, infatti, di indagare a fondo per conoscere, tramite enti appositi, anche l’operato dei produttori e dei subfornitori dell’ente certificato. L’agenzia protagonista nel confronto Coop – Del Monte è il Bureau Veritas Quality International (BVQI) che ha verificato il 22 e 23 novembre scorso la situazione reale a Thika. I risultati? Non solo i promotori della Campagna di Boicottaggio avevano ragione ma alle denunce già formulate si sono aggiunte altre gravi inadempienze.

   Nel recentissimo rapporto su Del Monte Royal redatto da BVQI, un linguaggio che non permette fraintendimenti ci informa che “non esiste evidenza effettiva che l’azienda abbia provveduto un ambiente di lavoro salubre e sicuro ed abbia preso provvedimenti adeguati per prevenire incidenti e danni alla salute”. Di seguito scende nei dettagli riportando la discriminazione nelle assunzioni delle donne, sottoposte a test di gravidanza; la mancata rotazione degli addetti ai pesticidi; l’obbligo di effettuare ore di straordinario pena l’aggravamento delle condizioni di lavoro; il mancato accesso all’acqua potabile nelle piantagioni; l’inefficacia delle cassette di pronto soccorso; la mancata tutela della privacy nei bagni delle donne; la mancanza di strumentazione antinfortunistica come guanti, scarponi e auricolari, ed altre situazioni di minore rilievo.

Per Coop è la conferma, sicuramente non gradita, che all’interno dei suoi supermercati si commercializza merce frutto di forti discriminazioni e maltrattamenti dei lavoratori addetti alla produzione. Un duro colpo per la sua immagine, tanto da indurla a mettere in evidenza, con comunicati ufficiali e articoli sul giornale dei soci “Informatore Coop”, la propria estraneità e la meritoria opera svolta per capire meglio la situazione e intervenire. Coop risponde anche ufficialmente ai 4.000 firmatari delle cartoline di protesta dichiarando che “nel novembre 1999 due ispettori qualificati hanno ispezionato il sito produttivo e le piantagioni, nonché intervistato, in maniera riservata, 172 operai e preso contatto con le organizzazioni sindacali e quelle non governative.” e ancora, “Coop ha chiesto a Del Monte di attuare un piano di miglioramento delle condizioni di lavoro, […] nuove ispezioni ne verificheranno l’effettiva applicazione”. L’impegno sembra non mancare, ma siccome fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio Stephen Ouma va avanti, con ancora più forza.

Coop Italia assicura “Stop alla vendita dei prodotti Del Monte”

Lunedì 6 marzo 2000 Ouma ha incontrato i vertici della Coop Italia a Sesto Fiorentino, alle porte di Firenze. Insieme a lui una delegazione di attivisti che hanno promosso l’incontro insieme alla locale sezione soci della catena di supermercati. Era la prima volta che i responsabili dei consumi di milioni di persone, concentrate soprattutto nel centro Italia, udivano con i propri orecchi da un diretto testimone la realtà estrema delle piantagioni di Nairobi. Coop intrattiene rapporti commerciali con Del Monte per circa 3 miliardi e mezzo di lire l’anno, dunque una parte, seppur relativamente bassa, dei profitti Del Monte arrivano direttamente dalle tasche di quei famosi soci Coop che si riconoscono nei principi dell’aiuto reciproco, della giustizia e del progresso dell’umanità intera. Come è possibile far conciliare detti principi con lo sfruttamento del lavoro e con il mancato rispetto di quei diritti per i quali il movimento cooperativo è nato e ha lottato da più di un secolo? È questa la traccia scontata che si sviluppa durante l’incontro, fino a quando Riccardo Bagni, vice presidente nazionale di Coop Italia dichiara: “Vogliamo costringere Del Monte a migliorare lo stile della loro produzione”. Poi, visibilmente colpito dal racconto di Ouma, va oltre. “Do la mia parola che se entro settembre le condizioni per i lavoratori non migliorano Coop cambierà fornitore! Siamo inoltre disponibili a dialogare con tutti coloro che possono darci informazioni di prima mano sui nostri fornitori non in regola con gli aspetti etici della produzione. Per questo chiederemo la collaborazione di tutti quei gruppi e organizzazioni che lavorano su questi temi”.

Il popolo di Seattle e i primi risultati

 L’impressione è che Coop non potesse non sapere, di campagne di boicottaggio su prodotti da lei commercializzati ce ne sono state anche in passato (Nestlè, Nike, Reebok, ecc…) e un management attento non può ignorare la loro esistenza. Resta il fatto, più che positivo, che ad oggi Coop è l’unica realtà distributiva medio-grande al mondo che si pone il problema e cerca di risolverlo con tutti gli strumenti a sua disposizione. Il potere conferitole dal potersi permettere di rinunciare ad un fatturato di tre miliardi e mezzo l’anno può essere, in questo momento, l’unico valido per chi ragiona in termini di massimizzazione del profitto.

E oggi arrivano i primi risultati. Il 16 marzo scorso Gian Paolo Gironda, responsabile dell’immagine della Del Monte Italia, ha riconosciuto i “difetti” nella produzione di ananas e ha assicurato che dal primo aprile le paghe dei lavoratori di Thika aumenteranno del 17% e che saranno avviati i corsi di formazione sull’uso dei pesticidi. Seguiranno, scaglionati nel tempo, anche altri miglioramenti, intanto – assicura – l’acqua potabile è già a disposizione di tutti gli operai.

Con questo successo si registra anche il consolidamento di un altro tipo di potere, più soft ma ugualmente forte, quello dei consumatori accorti, di coloro che non si fermano allo spot pubblicitario per valutare la qualità di un prodotto ma che cercano di andare oltre l’etichetta prevista dalla legge. Sono coloro che si informano sulla cosiddetta stampa alternativa, che si scaricano messaggi da Internet, che si scambiano impressioni e notizie in minoritari incontri pubblici; sono, per semplificare, il popolo di Seattle, persone normali che hanno capito che parte dal basso la costruzione di un ordine mondiale più giusto, alternativo a quello imposto dall’attuale sistema economico, dominato dalle riforme strutturali indicate dal Fondo Monetario Internazionale, dall’Organizzazione Mondiale del Commercio o dalla Banca Mondiale, buoni realizzatori di profitto ma pessimi distributori di quel benessere che ha le radici nel rispetto dei diritti dell’uomo.

Data presunta di pubblicazione: primavera 2000