Chiara Saraceno ha illustrato oggi in un suo breve articolo su Repubblica quanto è compromesso in Italia il rapporto tra democrazia, informazione e politica. Una società democratica è tale solo se l’accesso alle informazioni è attendibile e plurale, ammonisce. E rincara la dose ricordando come qui da noi uno si può anche informare ma poi non può scegliere… causa liste bloccate con i “nominati” dalle segreterie. Un ottimo articolo, pieno di numeri e analisi, utile per argomentare e ragionare sul declino della democrazia in Italia. Ecco il pezzo integrale.
di Chiara Saraceno
In una società democratica l’accesso ad informazioni attendibili e plurali è la precondizione della partecipazione politica, che non si esaurisce nell’esercizio del diritto di voto, come sembra pensare l’attuale maggioranza. Piuttosto, anche il pieno esercizio di questo diritto richiede sia l´esistenza effettiva di una possibilità di scelta, sia la capacità di valutare le opzioni disponibili sulla base, appunto, di informazioni attendibili e diversificate. Entrambe queste condizioni nel nostro Paese sono fortemente limitate. La prima, a causa di un sistema elettorale macchinoso, che toglie agli elettori persino la possibilità di scegliere chi votare all´interno di un partito o di una coalizione, e da ultimo anche alla mercè di decreti interpretativi ad hoc che rendono irrilevante la stessa osservanza delle norme. La seconda, a causa di un sistema di informazione che, soprattutto nel suo strumento più importante e più utilizzato, la televisione, è totalmente controllato dalla maggioranza. Un controllo ora perfezionato con l´eliminazione dei talk show durante il periodo di campagna elettorale.
Questa riduzione del diritto alla informazione avviene in un contesto in cui i cittadini, e ancor più le cittadine, mostrano un interesse limitato per la politica e per la pluralità delle fonti di informazione. Secondo i dati di una indagine recente dell´Istat, il 23,3% della popolazione italiana dai 14 anni in su non si occupa mai di politica. Pur in diminuzione rispetto a dieci anni fa, questo disinteresse è particolarmente concentrato non solo, come ci si potrebbe aspettare, tra coloro che non hanno ancora diritto di voto (non si occupa mai di politica il 46,8% degli adolescenti tra i 14 e i 17 anni), ma soprattutto tra i più anziani. Oltre la metà degli ultra settantacinquenni dichiara di non occuparsi mai di politica.
È anche molto più presente tra le donne che non tra gli uomini. Il 40,1% delle donne dichiara di non parlare mai di politica e il 29,3% di non informarsi mai. La differenza tra uomini e donne aumenta con l’età e diminuisce con l´istruzione. È anche più alta nel Mezzogiorno. Le donne più giovani e quelle con più elevato livello di istruzione hanno comportamenti molto simili ai loro coetanei. Accanto al sesso e all´istruzione, anche la professione e la condizione occupazionale incidono sull´interesse per la politica e la disponibilità ad informarsi. Le casalinghe sono le meno interessate e informate. Ed anche tra le operaie e gli operai le percentuali di coloro che non discutono mai e non si informano mai di politica superano il 30%. Più che una scelta, perciò, questa estraneità sembra essere legata a condizioni di vita, di socialità, e di risorse personali che non sollecitano o non consentono la partecipazione, a fronte di una comunicazione politica che genera estraneità. Nel caso delle donne poi, una classe politica così pervicacemente e sistematicamente maschile sembra fornire quotidiana conferma a chi pensa che la politica sia «cosa da uomini». Che l´estraneità si traduca in rinuncia al voto o in voto dato in base a suggerimenti di famigliari o conoscenti, in ogni caso si tratta di cittadini che di fatto delegano totalmente ad altri le decisioni politiche, come se non li/le riguardassero e non toccassero le loro condizioni di vita.
Chi si informa, lo fa prevalentemente tramite la televisione. Questa è usata dalla quasi totalità di chi si informa, a fronte del 52% di utilizzo dei quotidiani. Inoltre la televisione è la fonte esclusiva di informazione nel 23% dei casi. Solo il 22,1% si informa anche attraverso i quotidiani. Anche in questo caso, sono più gli uomini delle donne, più le persone più istruite di quelle a bassa istruzione, a utilizzare anche i quotidiani e in generale più canali informativi, inclusi la radio, colleghi, conoscenti, Internet, oltre che, in misura molto ridotta, partiti e sindacati.
Risultati analoghi erano emersi da una indagine del Censis limitatamente al modo in cui gli elettori si erano informati in occasione delle elezioni europee. I telegiornali erano stati determinanti per il 69,3% degli elettori (ma il 76% dei meno istruiti, il 78,7% dei pensionati e il 74% delle casalinghe). Per il 30,6% erano stati viceversa determinanti i programmi televisivi di approfondimento e i talk show, mentre i giornali erano stati determinanti solo per il 25,4% degli elettori.
Controllare i telegiornali, eliminare i talk show, minacciare la carta stampata non allineata, quindi, è una strategia vincente per chi vuole mantenere l´elettorato in uno stato di minorità basato sulla delega in bianco, piuttosto che favorirne la maturazione e la partecipazione attiva. Ma oltre ad una informazione corretta e plurale, occorre anche una politica, e una comunicazione politica, che solleciti l´interesse a partecipare, e non solo ad essere voyeuristici e impotenti spettatori di litigi, scandali, furberie varie.
da Repubblica del 10 marzo 2010