(Via LSDI) Seppur ‘’riluttante’’, Bill Keller due giorni fa ha riconosciuto che ”i giornalisti dovrebbero provare un senso di forte allarme di fronte a qualsiasi azione che punti a perseguire Assange per una attività che è propria di ogni giornalista” – ‘’Molti strumenti giornalistici non sono sotto il controllo del New York Times o del Guardian’’, ricorda Mathew Ingram su Gigaom, ‘’chiunque ora può concretamente diventare un editore, e questo implica che WikiLeaks e OpenLeaks, e chiunque altro faccia uso di strumenti del genere, come le persone nella piazza centrale del Cairo o in Tunisia, possano muoversi come dei giornalisti se lo desiderano’’
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Il direttore del New York Times, Bill Keller, è ‘’quasi pronto’’ ad ammettere che quello che Julian Assange sta facendo con WikiLeaks è giornalismo, spiegando che ”i giornalisti dovrebbero provare un senso di forte allarme di fronte a qualsiasi azione che punti a perseguire Assange per una attività che è propria di ogni giornalista”.
Lo osserva Mathew Ingram su Gigaom in un articolo che ricorda le posizioni inizialmente molto scettiche di Keller (alla fine è ‘’una fonte come un’ altra’’, non un collega giornalista; ‘’esiterei a definire giornalismo quello che fa Wikileaks’’), sottolineando come però, giovedì scorso, il direttore del NYT , ‘’seppur riluttante’’, abbia riconosciuto che la creatura di Assange è una entità giornalistica visto che – osserva Ingram – ‘’ha detto di non poter accettare i tentativi del Dipartimento della giustizia di aprire nei suoi confronti una inchiesta sulla base dell’ Espionage Act’’.
Secondo la ricostruzione di Wired , Keller, nel corso di un Simposio alla Columbia School of Journalism (dove era intervenuto insieme al direttore del Guardian, Alan Rusbridger, e a Jack Goldsmith, docente alla Harvard Law School ed ex procuratore generale), ha ammesso che:
”i giornalisti dovrebbero provare un senso di forte allarme di fronte a qualsiasi azione che punti a perseguire Assange per una attività che è propria di ogni giornalista”.
E’ carino vedere che il direttore del New York Times, anche se riluttante, abbia finite per pensarla come noi sosteniamo da tempo – sottolinea Ingram -: WikiLeaks è effettivamente una entità giornalistica. Certo, non può essere il tipo di giornalismo in cui è impegnato il NYT, ma esso ha sicuramente un ruolo da giocare nell’ ecosistema mediatico allargato che vediamo emergere attorno a noi. E il fatto che WikiLeaks sia una entità senza una precisa nazionalità (la ‘’prima redazione extrastatale’’, l’ ha definito Jay Rosen) ha un peso cruciale nel suo ruolo, rileva Clay Shirky in un recente articolo per il Guardian.
Visto che questa tensione fra governi e informatori è tanto acuta e che WikiLeaks appoggia massicciamente questi ultimi, esso non è solo un nuovo personaggio nel panorama mediatico esistente. Ma il suo arrivo ha creato un nuovo paesaggio.
E dal momento che WikiLeaks ‘’ha il suo quartier generale sul web’’, dice Shirky, nessun singolo paese o governo lo può rimuovere. Anche se Assange dovesse eventualmente essere inquisito o rimosso in qualche modo come capo della organizzazione, come la sua ex sostenitrice e parlamentare islandese Birgitta Jonsdottir ha detto in un recente intervento, “altre mille teste spunteranno.” Nei fatti, come Shirky nota, questo sta già accadendo: Al-Jazeera e il Guardian hanno dato vita a una partnership per diffondere migliaia di documenti sulle relazioni fra Israele e Palestina (i cosiddetti ‘’Palestine Papers’’) e l’ ex collaboratore di WikiLeaks, Daniel Domscheit-Berg, ha lanciato una nuova piattaform, OpenLeaks. E nello stesso tempo anche il New York Times ha parlato della possibilità di creare una sua ‘’cassetta delle lettere’’ digitale a cui le varie ‘’gole profonde’’ potrebbero mandare i loro materiali invece di rivolgersi a WikiLeaks.
Che Bill Keller lo voglia o meno – conclude Ingram – molti strumenti giornalistici non sono sotto il controllo del New York Times o del Guardian. Chiunque ora può concretamente diventare un editore, e questo implica che WikiLeaks e OpenLeaks, e chiunque altro faccia uso di strumenti del genere, come le persone nella piazza centrale del Cairo o in Tunisia, possono muoversi come dei giornalisti se lo desiderano. E’ un fenomeno molto importante, e sarebbe carino vedere il direttore del NYT ritrovare l’ equilibrio e ammettere che è proprio quello che sta avvenendo piuttosto che continuare a girare intorno alle implicazioni di questo fenomeno.