Ho conosciuto Roberto Morrione nell’autunno del 2006 a Cagliari. Partecipavamo ad un gruppo di lavoro organizzato dal Gruppo Abele e Libera su come il giornalismo può trattare al meglio i temi sociali e su come le organizzazioni della società civile possano organizzarsi al meglio per produrre un’informazione dal basso capace di raggiungere l’opinione pubblica in maniera incisiva.
Era appena andato in pensione, dopo aver fondato e diretto RaiNews24, il primo canale all news italiano e si era messo subito a disposizione di Luigi Ciotti, aiutandolo a pensare e a presiedere Libera Informazione, un osservatorio per capire meglio le mafie e “avvertire” istituzioni e cittadini sulle buone pratiche per combatterle.
La mia relazione verteva sulle esperienze americane di Move On e Democracy Now e cercava di definire il contesto italiano su cui lavorare per legare sempre di più il diritto ad un’informazione libera e indipendente alla democrazia, in crisi allora come oggi. Al termine Roberto si presentò, voleva approfondire un paio di cose che avevo esposto sull’utilizzo di internet per rilanciare il giornalismo d’inchiesta.
Un paio d’ore dopo sembrava che ci conoscessimo da una vita, legati da quella tensione che spesso si trova in chi si affaccia alla nostra professione, non certo in un megadirettore Rai in pensione, più avvezzo a riposizionarsi in qualche luogo di potere e di immagine, ben retribuito, piuttosto che mettere la sua esperienza e professionalità gratuitamente al servizio dei più deboli, come Roberto fece accettando la proposta di Libera per progettare e coordinare il lavoro dell’allora nascente Libera Informazione. (continua dopo il video)
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La malattia lo stava già aggredendo, ma continuò a girare tutta Italia per lanciare il progetto di Libera e sostenere, soprattutto nel Sud, quei giovani giornalisti bravi e senza paura, ma costretti a vivere nel terrore a causa delle loro inchieste contro le connessioni tra mafie, economia e politica così abituali nel nostro paese.
Tra un viaggio e l’altro, se passava da Firenze, mi chiamava e ragionavamo sul progetto di Libera Informazione Toscana. Aveva avuto modo di leggere e comprendere l’esperienza dell’Altracittà e così insieme decidemmo che forse valeva la pena di tentare di aggredire il toro per le corna anche qui in Toscana.
Firenze resta tutt’ora uno degli snodi celati e incompresi della nascita della seconda repubblica: la strage dei Georgofili del ’93, il grande lavoro di Gabriele Chelazzi ma non solo. Basti pensare alle infiltrazioni delle mafie cinesi e russe tra la piana fiorentina e la Versilia, oppure alle tante estorsioni causate da camorristi, ‘ndranghetari e mafiosi nostrani che ogni tanto emergono dalle cronache locali insieme al traffico di droga, al mercato della contraffazione, ai tentativi di aggredire i grandi appalti delle opere pubbliche.
Insomma di materiale ce n’era e ce n’è abbastanza per mettere su un lavoro di informazione coerente sulle mafie anche in Toscana. Così tra un panino preso in un bar della stazione o una zuppa di farro in trattoria quando c’era più tempo, limavamo l’idea, creavamo i presupposti per proporre il progetto alle associazioni, a partire da Libera Toscana naturalmente, e alle istituzioni, ci ingegnavamo su come poter coinvolgere giovani giornalisti e giornaliste pagandoli per il loro lavoro, senza sfruttarli come è d’abitudine in molte prestigiose redazioni, pensavamo a come coinvolgere l’ordine e l’associazione della stampa. Perché il progetto di Libera Informazione Toscana diventasse patrimonio di tutti e non di una parte, perché il lavoro cooperativo è il miglior antidoto ad un sistema corrotto quando vuoi costruire una sociertà migliore.
Scrivo questo ricordo di Roberto mentre ascolto la sua voce. RaiNews24 ha messo on line (la trovate più in basso) il racconto intitolato “Pensavamo di meritare il Pulitzer e invece ci fecero tutti fuori” che fa il punto su una sua inchiesta del 1990 sui legami occulti tra la Cia e la loggia massonica P2.
Roberto era uno dei capi del Tg1, che però non aveva niente a che fare con quello attuale, nonostante allora fosse il “cuore del potere democristiano” come ci ricorda Roberto stesso. L’inchiesta andò in onda. A pagare per aver osato furono il direttore Nuccio Fava e il gruppo di giornalisti coordinati da Morrione, tra cui Ennio Remondino. Iniziò così l’era di Bruno Vespa e Roberto si dimise dal suo incarico dopo poco tempo, deluso da cìò che era successo ma sicuro che altrove avrebbe potuto seminare la cultura del giornalismo indipendente e della libera informazione.
Se oggi in Italia ci sono giornalisti e giornaliste che non piegano la schiena è anche merito di persone come Roberto Morrione e di chi come lui non si arrende mai. (continua dopo il video)
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Con un inciso all’interno del necrologio i famigliari di Roberto Morrione chiedono esplicitamente di non inviare fiori o altro, ma devolvere il corrispettivo alla Fondazione Libera informazione, di cui Roberto era presidente e direttore. Di seguito le info relative alla fondazione e il codice IBAN necessario.
FONDAZIONE LIBERA INFORMAZIONE
Osservatorio nazionale sull’Informazione per la legalità e contro le mafie
Sede Legale: via IV Novembre 98, 00187 Roma
www.liberainformazione.org
COD IBAN: IT 28 S 03127 03206 000 000 000 483