La situazione ai confini estremi della Rotta balcanica segna ancora una volta il fallimento nazionalista figlio di quel Novecento delle “patrie” che sembra non finire mai. I migranti affamati dal liberismo economico e dalla crisi ambientale si raccolgono sul Bosforo da tutto il Medio Oriente e oltre, per incamminarsi, letteralmente a piedi, verso l’Unione Europea. Lo fanno per tentare il game, come lo chiamano, riuscire cioè a varcare il confine che separa la terra dei “barbari” da un continente pieno di opportunità agli occhi di chi fugge da guerre, dittature, territori politicamente e socialmente devastati.
A fare da sfondo alla guerra ai migranti condotta dal Castello Europa, mai così unita, sono le macerie degli Imperi Ottomano e Austro-Ungarico: Turchia, Grecia, Macedonia, Bulgaria, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia. Se e quando riescono a superare quel limes segnato dalle bandiere blu stellate, per i migranti iniziano i guai seri. La polizia croata, in prima linea nel tentativo di fermare la migrazione, non ha pietà. Se sei fortunato ti spoglia e ti leva le scarpe prima di respingerti a sud, fuori dall’Unione. Se ha voglia di divertirsi ti picchia fino ad arrivare alla tortura. Magari con il supporto di squadre paramilitari fasciste che ti sprangano le giunture di ginocchia e piedi e ti ustionano con ferri roventi affinché tu non possa giocare più nei boschi dei Balcani alla ricerca di una vita migliore. Sono molti a morire, sopraffatti dal dolore, dalla sofferenza, dalla fame.
Piazza del Mondo
A raccogliere i cocci umani che sopravvivono e giungono in Italia, ad accogliere i bambini, le donne e gli uomini umiliati e feriti dalle politiche di Bruxelles, ci pensano i volontari della Ong Linea d’ombra di Trieste. Lo fanno nell’aiuola di Piazza del Mondo, come hanno reintitolato Piazza della Libertà, davanti alla Stazione centrale dei treni. Lo fanno mettendo i loro corpi a disposizione dei corpi dei migranti che riescono a chiudere il game. Curano le loro piaghe, accarezzano i loro piedi martoriati, tentano di ricucire le ferite più profonde, anche quelle dell’anima.
Abbiamo incontrato nella sua casa, a due passi dall’ippodromo, Gian Andrea Franchi, uno dei protagonisti della primavera triestina, uno di coloro che è riuscito con la pratica solidale, quotidiana e incessante a riconoscere un po’ di dignità a quei migranti che riescono ad arrivare fino all’Adriatico. È appena rientrato da Piazza del Mondo, con sua moglie Lorena Fornasir, trainando il trolley verde carico di medicinali, garze, pomate che ogni giorno servono a medicare gli ultimi arrivati.
Gian Andrea ha 84 anni e dal 23 febbraio scorso sul suo capo pende un’inchiesta della magistratura triestina per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e, in parte, di terrorismo internazionale.
Sotto inchiesta per terrorismo internazionale
“La Digos ha suonato all’alba e mi ha sequestrato computer e cellulare. Sono accusato di aver accolto per due notti una famiglia iraniana composta da padre, madre e due bambini e di averli accompagnati il giorno dopo ad un money transfer per cambiare 800 euro con la mia carta di identità”, racconta Gian Andrea. “Poi la magistratura ha messo insieme le due notti a casa mia con una terza in cui hanno dormito presso un’organizzazione di passeur curdi che traffica esseri umani per lucro, legata, pare, al terrorismo internazionale. Da questa semplificazione arriva l’accusa più grave che mi colpisce per aver compiuto un semplice atto di umanità, accoglienza e solidarietà”.
Reato di solidarietà
Questa inchiesta ha però avuto il merito di illuminare come non mai le attività di Gian Andrea e degli altri volontari impegnati a dare sollievo alle vittime di quella Rotta balcanica che forse dovremmo chiamare europea, visto quanto ci riguarda direttamente. Tg e giornali nazionali hanno raccontato la storia carica di umanità accaduta a Trieste, e chiunque abbia capacità di discernimento ha capito che si tratta di un mero “reato di solidarietà” che ha il merito di aprire un dibattito sulle vergognose politiche migratorie europee. Chissà se magistratura e polizia avevano messo in conto di passare per “cattivi” nel Paese dove sul tema le politiche discriminatorie della destra e del centrosinistra si equivalgono. “Questo è il lato positivo della vicenda – ammette sornione Gian Andrea. Ho riscontrato con piacere il notevole numero di persone che ci hanno espresso la loro solidarietà da tutta Italia, mi hanno scritto persino alcuni studenti che avevo avuto nel 1983! Questo ritorno alla realtà dei fatti servirà ad incrementare le donazioni e ad aumentare le nostre attività a Trieste e in Bosnia, oggi assolutamente indispensabili per salvare vite”. Già, perché i volontari triestini hanno compiuto una ventina di viaggi in Bosnia negli ultimi due anni, proprio al confine del Castello Europa di pertinenza croata. “Volevamo toccare con mano la situazione concreta in cui si muovono i migranti e vivere la loro odissea mentre accade. Inoltre sono viaggi utili a portare ai protagonisti del game, grazie alle tante donazioni che riceviamo, scarpe, vestiti, medicinali e soprattutto telefoni, unica ancora di salvezza per chi è costretto a marciare nei boschi per settimane. Tutto ciò che serve lo compriamo direttamente nei villaggi bosniaci, per costruire anche dei rapporti di solidarietà con i negozianti del luogo, sia pure su una base mercantile”.
La realtà che nessuno vuole vedere
Toccare con mano la situazione. Come quando in un container abbandonato in Bosnia hanno incontrato un ragazzo magrebino. “Sdraiato nelle sue feci delirava in più lingue – arabo, tedesco, francese, italiano – era traumatizzato. Aveva i piedi congelati, una parte era secca, avvolta in una necrosi nera come l’inchiostro. Mia moglie Lorena ha provato a parlarci, ha tentato un approccio terapeutico, lei che è una psicologa. Lui è riuscito a confidarle che doveva raggiungere suo figlio in Germania e per questo si rifiutava di farsi amputare i piedi, altrimenti come ci sarebbe andato? Poi è riuscito a scappare. È stato trovato esanime in un bosco a poche decine di metri, è morto poche ore dopo”.
Prima gli italiani?
Gian Andrea Franchi ha molto chiaro qual è il ruolo del migrante nell’altro game, quello che la politica degli Stati europei gioca sulla pelle degli ultimi. “Difendere i confini, mettere al centro il concetto identitario di nazione, andare avanti a forza di slogan come Prima gli italiani, attaccare i più poveri e gli esclusi, in un mondo interconnesso e complesso come l’attuale, serve a nascondere quelli che sono i reali problemi: dalla crisi economica al grande aumento di diseguaglianza che abbiamo vissuto a partire dagli anni Ottanta. Nel nostro Paese serve anche a celare l’impoverimento della classe media e l’incapacità dei ceti imprenditoriale e politico di risolvere i problemi concreti delle persone”. Un meccanismo, quello del capro espiatorio, vecchio di millenni ma che ancora oggi affascina decine di milioni di europei privi di strumenti di interpretazione. “Sì, e aggiungerei che si tratta anche di una forma di controllo sulla popolazione costretta a subire inerme una crisi economica strutturale”.
Il sistema di potere dell’Europa
“L’Unione Europea è una costruzione gerarchica con cui gli Stati gestiscono dei blocchi di potere cercando di conciliare esigenze diverse. Tutto ciò non ha nulla a che fare con i diritti della persona”, approfondisce Gian Andrea. “Quando si parla di Costituzione Europea e di diritti, lo si fa per gettare fumo negli occhi delle persone, per nascondere il cuore di questa struttura di potere che è economico e non politico. Basta andare in Bosnia, mettere mani e occhi sulla realtà e capire cos’è l’Europa oggi: costruzione di campi di concentramento nei Balcani e in Turchia, di veri e propri lager in Libia. Il tutto finanziato con la nostra fiscalità, con i soldi degli europei. Digeriamo senza problemi decine di migliaia di morti nel Mediterraneo e quando decidiamo di accogliere qualcuno, come accadde per la Germania della Merkel nel 2016, lo facciamo solo perché si tratta di manodopera specializzata, ad alto livello, utile alla produzione industriale o agricola dei nostri paesi”.
I respingimenti sono illegittimi
Nel loro “stare in piazza” Gian Andrea, Lorena e i volontari di Linea d’ombra, le giovani laureate in medicina di La Strada Si.Cura, sono d’esempio per un popolo, quello italiano, ormai imbolsito e incapace di difendere la lunga stagione novecentesca della conquista dei diritti sociali e civili. “Oggi subiamo la militarizzazione della società, le polizie possono agire ai confini della legalità, arrivare senza problemi a praticare abusi di potere”, dice Gian Andrea. “L’avvocata che segue il mio caso è la stessa che ha messo in moto il meccanismo che ha portato, lo scorso gennaio, alla storica sentenza del Tribunale di Roma che ha dichiarato illegali i respingimenti dei migranti dall’Italia alla Slovenia. Tutto era partito con un ricorso per un ragazzo pakistano arrivato a Trieste la scorsa estate e respinto in Slovenia, poi in Croazia fino al confine del Castello europeo, in Bosnia”.
Fascisti in azione
Linea d’ombra a Trieste conta una cinquantina di soci. Venti di loro li trovi in Piazza del Mondo nel pomeriggio, con le mani che curano i corpi degli “illegali”. Il resto della città, quella non impegnata nel terzo settore tradizionale, è indifferente; può succedere però, che parte di essa arricchisca il dibattito pubblico, nel peggiore dei casi, con pratiche fasciste. “Chi ci è ostile in genere si esprime sui social, ma non solo. Il 24 ottobre scorso – ricorda Gian Andrea – un gruppo organizzato ha manifestato contro gli immigrati proprio davanti alla stazione, mentre eravamo lì ad assisterli. Sono stati stranamente autorizzati dalla Questura nonostante vi fossero esponenti dell’estrema destra veneta e nonostante Piazza Libertà non è mai stata un luogo di manifestazioni”.
La sinistra, i migranti e diritti negati
Oggi Gian Andrea ha 84 anni, mentre parla ne dimostra 30 di meno, se lo incontri in piazza o nei suoi viaggi in Bosnia pensi che abbia trovato l’elisir di lunga vita. “Vengo da un’esperienza politica di sinistra: il Manifesto, ma anche Autonomia operaia. Per tutta la mia lunga vita ho fatto sempre attività politico-sociali. Oggi mi misuro con questa esperienza diversa dal passato, indubbiamente molto interessante perché crea un tipo di rapporto diretto con le persone bisognose, ma senza che si trasformi in semplice carità. Stare in Piazza del Mondo ad accogliere e curare corpi carichi di sofferenza è un atto politico che passa sopra tutte le differenze, culturali in primo luogo”. Un messaggio forte, soprattutto per quella sinistra parlamentare che oggi si è trasformata quasi in un’istituzione totale, in un corpo malato della democrazia in cui pare insuperabile il dogma liberista del profitto d’impresa che vince sul diritto della persona. “Qualche mese fa abbiamo chiesto ad un ragazzo pakistano dove volesse andare. Ci ha risposto una cosa che ci è parsa bellissima: voglio andare in un posto dove possa essere rispettato. Questa è una frase essenziale, che permette di intendersi fra persone di cultura diversa e creare piccoli germi di solidarietà interculturale. A questo bisogna tendere in una fase in cui tutto il mondo è entrato in una dinamica terribile, basti pensare alla crisi ambientale che tra non molto vedrà migrare oltre la metà della popolazione mondiale”.
Come sostenere Linea d’ombra
Chi volesse sostenere Gian Andrea, Lorena, i medici volontari e tutti gli attivisti di Linea d’ombra può seguirli su Facebook, effettuare una donazione e anche un versamento per coprire le spese legali necessarie alla difesa dall’accusa, tremenda e incredibile allo stesso tempo, di terrorismo internazionale. Proprio sui contenuti dell’inchiesta un gruppo di amici e intellettuali si è recentemente appellato al presidente del Consiglio Draghi, alla ministra dell’Interno Lamorgese, alla magistratura e alle forze dell’ordine, chiedendo loro “di vedere la verità e il dramma umanitario di questa situazione terribile e di impegnarsi prima di tutto per eliminare la violenza che viene esercitata contro persone colpevoli di fuggire dalla fame e dalla guerra, e di cercare una vita decente per sé e per i propri cari”. Fin’ora nessuno ha risposto.
Cristiano Lucchi