Marco De Paolis è un uomo buono. Lo capisci dal tono di voce, dalla postura del corpo, dalla cura con cui sceglie le parole. La conferma arriva però dalle azioni compiute nel ruolo di rappresentante delle istituzioni di un paese democratico come talvolta l’Italia fatica ad essere. Tra il 2002 e il 2018 il procuratore militare Marco De Paolis ha infatti svolto indagini e interrogatori, visto luoghi, raccolto testimonianze, istruito processi che hanno portato ad oltre 500 procedimenti giudiziari contro i criminali di guerra nazisti e fascisti per gli eccidi di civili e militari – circa 90.000 le uccisioni – compiuti durante la Seconda guerra mondiale. A raccontare questa incredibile storia, unica al mondo, è lui stesso nel libro “Caccia ai nazisti” appena uscito per Rizzoli con prefazione di Liliana Segre, e presentato a Firenze in Palazzo Strozzi Sacrati il 29 novembre scorso.
La Toscana, lungo la Linea Gotica passava il fronte, è stata uno degli epicentri stragisti, basti pensare a quanto accaduto a Sant’Anna di Stazzema, al Padule di Fucecchio, a Vinca, a San Terenzo Monti e in decine di altri luoghi. De Paolis ha posto l’accento sul senso della sua azione, seppur il libro, da leggersi a tratti come una spy story, dia conto puntualmente del percorso giudiziario – dalla riscoperta dei faldoni nascosti per 50 anni nel cosiddetto “Armadio della vergogna” alle condanne all’ergastolo di 60 criminali di guerra, motivo per il quale ha ricevuto, tra le altre onoreficenze, l’Ordine al merito della Germania.
Nella sua lunga azione Marco De Paolis ha incontrato dozzine di volte i famigliari delle vittime. Prima con timore, lo Stato li aveva traditi per oltre mezzo secolo, poi perché, grazie a loro e a quanto stava finalmente accadendo, ha scoperto un’umanità che lo porta ancora oggi a frequentare quei luoghi e quelle persone che nella loro esistenza hanno convissuto con un dolore inenarrabile. “Grazie a questi rapporti ho trovato anche io la forza di affrontare il dolore – dice il procuratore. E nel mio ruolo di rappresentante di un’istituzione ho fatto capire loro che anche lo Stato può essere al loro fianco. Restituire dignità alle vittime grazie alla ricerca di una giustizia processuale, senza confonderla con il risentimento o la vendetta, è stato un mio dovere morale”.
Confrontando quanto accaduto dopo l’8 settembre 1943 con le tragedie che in questi giorni riempiono le cronache delle pagine degli esteri, De Paolis ha detto: “Se c’è una cosa che ho imparato in oltre 20 anni di analisi delle stragi nazifasciste è che la singola persona può sempre scegliere se diventare un criminale o meno. Purtroppo le guerre del passato non hanno insegnato nulla, la guerra non rappresenta mai un alibi per compiere dei crimini e non sopporto quando l’umanità viene messa in secondo piano. Non dobbiamo mai dimenticare che siamo persone portatrici di valori universali e che questi valori non possono essere piegati alla convenienza del momento. Agli ultimi, alle vittime – ha concluso – non interessa il colore politico del missile, interessa solo che saranno uccisi da quel missile. Un crimine resta pertanto sempre un crimine. Se non si persegue l’ingiustizia consumata la vittima rimarrà vittima per sempre, non potrà mai superare, seppur tra mille difficoltà, quanto accaduto”.