È stato costretto a Sollicciano, dal 2014 al 2022, in una cella dalle dimensioni insufficienti, con infiltrazioni d’acqua, pareti scrostate, muffa. Ha vissuto per anni con cimici e altri parassiti che mordevano la carne viva. Per questa condizione disumana e degradante, che vìola l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un detenuto di 58 anni è stato scarcerato 312 giorni prima della fine della pena dal carcere fiorentino. Ad accompagnare il reclamo dell’uomo, oggi libero, è stata l’associazione e centro di ricerca l’Altro Diritto. Ne abbiamo parlato con uno dei suoi fondatori, il filosofo del diritto Emilio Santoro. Questa conversazione è la prima di una serie della nuova collaborazione tra l’Altro Diritto e Fuori Binario sui temi che intrecciano diritti e marginalità.
Come funziona il meccanismo di indennizzo?
Viene riconosciuto 1 giorno di sconto ogni 15 passati in situazioni degradanti o disumane, oppure 8 euro al giorno alla persona che ha già terminato la pena. Lo prevede l’Ordinamento penitenziario che dopo la condanna della Corte europea dei diritti umani (sentenza Torregiani) ha introdotto un articolo che consente ai detenuti di richiedere la cessazione delle condizioni inumane e degradanti (35 bis), e uno che regola il risarcimento per il periodo trascorso in quelle condizioni (35 ter).
È il primo caso che seguite?
Dal 2014 ad oggi abbiamo aiutato a presentare decine di richieste per casi analoghi, molte delle quali si sono concluse con il riconoscimento del diritto.
Perché questo caso ha fatto notizia?
Per due motivi. Il primo è sconcertante ed è legato all’entità della riduzione pena, ma in altre carceri, con più detenuti “lungodegenti”, riduzioni di questo genere non sono eccezionali. La notizia data è stata così connotata: “Pericoloso criminale esce prima dal carcere”. La riduzione pena gli è stata riconosciuta semplicemente perché il magistrato di sorveglianza ha ritenuto inumane e degradanti le condizioni in cui ha trascorso i suoi otto anni a Sollicciano. Appare quindi paradossale che per i media la notizia non sia invece che nello Stato italiano, nella città di Firenze, ci siano detenuti costretti a vivere in queste condizioni. Per chi fa dell’allarmismo un modello per vendere copie diventa così un fatto eccezionale e grave l’uscita anticipata, ignorando, tra l’altro, che ogni detenuto ha diritto ha una riduzione di pena di 45 giorni per ogni semestre di buona condotta. Come se la sicurezza fosse garantita dal “buttare via le chiavi delle celle”, dal non far uscire le persone che hanno scontato la pena.
L’altra ragione?
È che noi, come altri “osservatori” della vita carceraria, abbiamo segnalato che questa sentenza segna un cambio di passo. Fino ad oggi la giurisprudenza era “catastale” e non prendeva in considerazione altri indici se non quelli relativi allo spazio a disposizione in cella per un detenuto. Il giudice si auto-riduceva ad “agrimensore”, misurava con il centimetro gli spazi ma non considerava mai le condizioni reali della detenzione: la disponibilità dell’acqua calda e del riscaldamento, il ricambio d’aria e il passaggio della luce, la presenza di parassiti o di altri animali nocivi come topi, zecche, piccioni o vespe, l’umidità o la muffa. Con questo provvedimento l’approccio è cambiato.
Qual è la condizione attuale di Sollicciano?
È una delle peggiori carceri italiane per le condizioni strutturali, è un cantiere sempre aperto, transennamenti, calcinacci, allagamenti. Invivibile. L’Asl Toscana Centro ha certificato l’ultima volta le condizioni inumane di Sollicciano nel 2022, non a caso la relazione è riportata nell’ordinanza di scarcerazione da cui emergono finalmente le condizioni reali in cui versa il carcere. E l’amministrazione penitenziaria ne è consapevole, altrimenti avrebbe fatto ricorso, sostenendo che gli accertamenti delle condizioni di detenzione sono errati.
Cosa viene fatto per migliorare la situazione?
Le risorse ci sarebbero ma vengono investite male. Dal punto di vista strutturale, ad esempio, sono stati aperti dei cantieri per isolare le pareti esterne dall’umidità. Nessuno probabilmente ha considerato che si trattava di pareti inclinate, e che l’impermeabilizzazione avrebbe dovuto esser fatta come se si trattasse di un tetto. E così l’acqua è penetrata nuovamente. Nel novembre scorso, nei giorni dell’alluvione, la nona sezione posta al secondo piano e appena ristrutturata, è rimasta allagata perché l’acqua passava ovunque. Se qualcuno invece viene mangiato dalle cimici si disinfetta solo la sua cella, e nemmeno i vestiti. E così in pochi giorni i parassiti tornano dalle celle accanto.
Soldi buttati al vento.
A farne le spese sono le misure alternative come l’affidamento in prova, la semilibertà, i domiciliari. Ancora oggi però, nel PNRR, si prevede di spendere centinaia di milioni di euro in nuove carceri.
Come definirebbe Sollicciano oggi?
È un coacervo di marginalità sociale intersezionale: la più grande Comunità per tossicodipendenti della Toscana, il più grande Centro di permanenza per stranieri, il più grande Albergo popolare per senza dimora, la più grande comunità per sofferenti psichici e psichiatrici.