“La mia diversità è stata il mio reato. Altri non ne ho mai commessi. Sono stata spedita al confino più volte, sono stata nelle carceri speciali, venduta dai secondini a chi pagava loro di più, senza potermi opporre, se non volevo punizioni e umiliazioni ancora più grandi. Sono stata legata per giorni interi al letto di contenzione, e anche lì guardie e detenuti venivano in processione, a mostrarmi ed impormi le loro perversioni: i loro atti osceni. Quando ripenso a quegli anni, li definisco la mia Shoah, razzismo praticato senza coscienza, discriminazione che cancellava ogni sentimento”.
Vogliamo ricordare Sandra Alvino con le parole che lei stessa ha scritto nella sua biografia Il volo, perché rendono lampante la sofferenza che perbenismo e concetto di decoro provocano sulla persona. Sandra era nata uomo ma si era sentita sempre una donna. Ci ha lasciato il 13 marzo scorso al termine di una vita vissuta nella speranza di un futuro migliore, di un sistema di regole che non affossasse i diritti inviolabili della persona. “Correvo più forte che potevo, come per prendere una rincorsa e lanciarmi nell’aria. Fino a che non ritrovavo la mia leggerezza, fino a che non mi trovavo in volo”, era così che immaginava il suo futuro quando era sotto il giogo di uno Stato padre padrone, che sapeva solo curarla nelle varie istituzioni totali di cui dispone e che mai ha saputo accompagnarla nel suo desiderio di autodeterminazione, nella sua voglia di libertà.
Ti vogliamo bene Sandra. Come anche vogliamo bene a tuo marito Fortunato. Grazie per aver combattuto per i diritti di tutti noi.
da Fuori Binario #228